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Storia della “Scirubetta” di Dave Destefano

La Scirubetta é il primo dolce freddo della Storia calabrese.

È composto di neve…quella più pura, da raccogliere appena caduta in spazi incontaminati, un bosco di montagna o,un angolo di campagna, fra i tanti offerti dal territorio calabrese per oltre il novanta per cento montuoso e collinare. Questo termine dialettale di scirubetta varia a seconda delle zone della Calabria ,da scirubbetta (Aprigliano, CS), a scilubetta (San Giovanni in Fiore, CS), scirupet (Villapiana, CS), scilibretta nel dialetto di Mandatoriccio (CS) e di Cirò (KR), sciurbetta (in alcune zone del reggino), scilibetta (Caraffa del Bianco, RC) . Alla fine tutt’e queste declinazioni provengono dall’arabo “sherbet” – termine a sua volta confluito anche nella lingua turca con analogo significato di “bevanda fresca” – da cui originano le parole italiane “sciroppo” e “sorbetto”. Lo sherbet in Medio Oriente è una bevanda dolce servita molto fredda, di varia consistenza da assaporare al cucchiaino. Con la scirubetta calabrese si passa invece dal liquido freddo ai cristalli di neve, ma la sostanza non cambia.La preparazione tradizionale della scirubetta prevedeva la raccolta della neve che veniva in bicchieri o coppe e aromatizzata con miele di fichi (meli ‘i ficu), o vincotto di fichi o con il mosto cotto (nei dialetti regionali variamente denominato vinicuattu o misticuattu), a seconda delle diverse tradizioni locali. Non mancavano inoltre le varianti di scirubetta di neve con succo fresco d’arancia (frutto invernale per definizione) o di limone e zucchero, sciroppi di cedro, bergamotto ofrutta in genere . la scirubetta altro non è che la prima forma di gelato mai preparato (da non confondere quindi con la versione più moderna di gelato mantecato i cui prototipi, serviti accanto agli intramontabili sorbetti, sono da ascriversi a figure di gelatai-pionieri come il siciliano Procopio de’Coltelli vissuto fra Sei e Settecento), UN SORBETTO DA NOBILI IN CALABRIA CITATO DALL’INGLESE EDWARD LEAR.

Dame gustano sorbetti in un caffè di inizi Ottocento Se l’uso della neve condita con miele di fichi o mosto cotto e, meno frequentemente, con succo di agrumi o caffè, era antica consuetudine delle famiglie calabresi nel corso dei nevosi inverni, molto più elitario era invece il consumo dei bianchi cristalli nel periodo estivo. Ad esso era appunto riservato lo stoccaggio della neve in appositi ambienti sotterranei (neviere) ricavati in montagna o nei centri abitati, oggetto di un commercio regolamentato che impiegava specifiche figure di addetti alla raccolta. Un privilegio dunque riservato alle tavole delle famiglie più abbienti, che nelle calde estati calabresi potevano concedersi il ”lusso” di acquistare un alimento fuori stagione e di offrirlo anche agli ospiti di riguardo. Di esso si conserva memoria nei “Journals of a landscape painter in Southern Calabria”, coinvolgente diario del viaggio che il pittore inglese Edward Lear (del quale ci resta anche una serie di magnifici disegni, fra cui alcuni inediti ritrovati di recente), effettuò nel reggino fra Jonio, Tirreno e le più interne aree preaspromontane, con due compagni (l’amico John Proby dei Conti di Carysfort e il mulattiere reggino Ciccio) e un mulo, da luglio a settembre del 1847. La narrazione di Lear scorre piacevole fra suggestive descrizioni di paesaggi, usi e costumi delle popolazioni locali, fra cui spicca una consuetudine dei notabili che lo ospitarono, quella cioè di offrirgli, fra l’altro, un sorbetto a base di “neve e vino” (è ipotizzabile si trattasse di una declinazione estiva, con vero e proprio vino, dell’usanza invernale, diffusa nel reggino, di condire la neve con il mosto d’uva cotto secondo la classica scirubetta). Di seguito alcuni brani attinenti tratti dal diario di Lear: “E’ sempre un grande divertimento per noi fare ipotesi sul tipo di accoglienza che i nostri sconosciuti ospiti ci riserveranno quando arriviamo in un posto nuovo, o su chi o cosa ci si potrà rivelare. In questo caso, poichè la famiglia Pannuti aveva pranzato (erano le 2 del pomeriggio) e tutti erano a letto, ci sarebbe voluto un po’ di tempo prima che ci facessero entrare nella piccola dimora annessa ad una grande casa in corso di costruzione; ma nonostante fossimo arrivati a quell’ora poco opportuna, don Peppino Pannuti (un tipo molto cordiale, capo del distretto) e la sua piccola e graziosa moglie, ci ricevettero nella maniera più amichevole che si possa immaginare, ristorandoci subito con un sostanzioso pranzo a base di maccheroni, ecc., del buon vino e neve scintillante. Questa brava gente ci incoraggiò molto affinchè ci fermassimo per tutta la notte.” 30 Luglio 1847, Bagaladi (RC), Palazzo Pannuti “Il dottore (un professionista di Gerace, il Capo Distretto)…si scusò per l’assenza del Barone, essendo la Baronessa ammalata. Ma la volontà di dare il benvenuto, che mai abbiamo trovato assente in Calabria…fu perfettamente manifestata in una inaspettata carrellata di maccheroni, uova, olive, burro, formaggio, e l’immancabile neve e vino, su una tavola coperta con il lino più bianco, fra uno scintillio di piatti e di bicchieri…” 6 Agosto 1847, Sant’Agata del Bianco (RC), Palazzo Franco “L’accoglienza festosa del gentile don Giacomo Stranges fu ancor più accresciuta dai suoi fratelli don Domenico e don Stefano, che si deliziarono a porre domande sulla “abbondanza d’Inghilterra”, mentre ci offrivano neve e vino e, stesa poi una tovaglia pulita, maccheroni, uova, ricotta, miele e pere, evidenti prove della loro solerte ospitalità”. 9 Agosto 1847, San Luca (RC), Palazzo Stranges “Il Consigliere de Nava ci aveva dato una lettera per Don Pasquale Scaglione, che abita una delle più grandi case della città, dominante dalle sue finestre tutta la vista del mare orientale. Don Pasquale, un uomo prestante e signorile, ci ha accolto calorosamente; e dopo aver goduto della consueta neve con il vino ed esserci rinfrancati con una rinfrescata e mezz’ora di sonno, ci siamo approssimati a una cena ammirevole…” 10 Agosto 1847, Gerace (RC), Palazzo Scaglione.

Dave Destefano